Anche la microfisica ha i suoi santuari, i suoi ipogei, le sue grotte delle apparizioni. Ma qui nel claustrofobico anello che corre per 27 chilometri in territorio franco-svizzero sotto l'opulenta Ginevra, in un delirio di cavi, tubature, magneti, trasformatori, apparecchiature elettroniche d'ogni genere e liquidi refrigeranti, anche la più minuscola delle viti, perfino il più trascurabile dei fusibili sono incastonati a doppia matrice dentro la Teoria del Big Bang.
Al pari dei teologi che presuppongono già l'esistenza di Dio, i Tecnocrati che hanno realizzato questa titanica circolarità e che si concentrano per lo più nella supertecnologica Atlas Control Room, danno semplicemente per scontato che l'universo è stato creato sotto forma di esplosione caldissima da un punto microscopico che precedentemente non esisteva.
Di più: sostengono di conoscere
già oggi quel che troveranno domani. Sui pulsanti dei pannelli pendono i cartellini
scritti a mano delle scoperte ancora da fare e scatoloni di champagne sono già
aperti per i futuri festeggiamenti.
Miracolo?
No, perchè a rigore il Large Hadron Collider – il più grande acceleratore di particelle del mondo – non è lo strumento che ricrea le condizioni che avrebbero determinato il Big Bang, ma una fabbrica di crash protonici tesi a stimolare la produzione di ioni pesanti, cioè particelle di grande massa ed energia che si ritiene brulicassero senza posa nell'infuocato impasto primordiale immediatamente successivo al Big Bang.
Insomma, per dirla impietosamente,
quando già era successo tutto.
“Non è forse così?” domando a una graziosa e aggressiva accompagnatrice in camice,
ridondante di pass.
“Se vuol metterla in questo modo...” mi sospira con criogenica ostilità.
E aggiunge subito: “Ma per favore non mi ricordi anche lei quanti pasti si potevano confezionare con nove miliardi di euro.
Qui facciamo sul serio sa, -mi squadra severamente- qui stiamo stanando materia oscura, energia oscura e particelle fondamentali mai osservate in precedenza.
Ha un'idea di tutto ciò che
implica un programma comequesto?”
“Mica vi sto imputando di associazione a delinquere, - sorrido perfidamente - ma mi
aspetterei che per la maggior parte queste collisioni nel superfreddo
dovrebbero provocare la trasformazione di masse-energie
già localizzate in precedenza in forme differenti.
Se ho capito qualcosa dei
vostri esperimenti -rincaro- le nuove particelle che
voi propagandate come “particelle del Big Bang” non si trovano dentro i protoni
che fate collidere. Voi producete soltanto la simulazione di un mito creazionistico”.
“Non mi costringa a darle una
lezione di cromodinamica quantistica. -mi sibila come
un crotalo- Si aspetti invece che ad una densità energetica abbastanza alta,
uno di questi giorni saremo in grado di dimostrarle
l'interazione di queste particelle con il vuoto. E senza provocare alcun catastrofico buco nero, senza scatenare alcuna fine del mondo.
Quel che manca puntualmente a
voi contestatori -preme il grilletto- è la
modestia
del sapere”.
“Fine del mondo a parte, -reagisco- non vedo alcuna modestia in una galleria scavata dentro una teoria.
Se poi doveste rintracciare la mitica particella che salda tutti i sospesi, e ve lo auguro di cuore, la sua scoperta solleverebbe molti più misteri di quanti intenderebbe svelarne.
E allora come
ci salveremo dai predicatori dell'Intelligent Design?”.
Suona improvvisamente un allarme. “Ci avverta se non riesce a trovare l'uscita -mi canzona l'addetta con inattesa ironia-.
Ma aggiunge: “Lo vede quel signore che appare la' sul monitor?
E' Andrea Camilleri, il grande scrittore siciliano.
E quell'altro? E' un famoso filosofo di Milano.
Dovrebbe sentire con quale equilibrio,
con quanta serenità esprimono il loro rispetto verso un luogo come questo... vada a sentirli, sono sicura che imparerà qualcosa”.
Camilleri? E come ci entra Camilleri in un luogo così arrogante?
Sono andato a sentirlo.
Ha detto testualmente: “Non ho
la minima idea di cosa siano i fasci di protoni, ma non do'
alcun credito ai presunti rischi che graverebbero su questi esperimenti. Per
me, anzi, è tutta un'americanata fatta apposta per ispirare qualche film. I
buchi neri non li provoca il CERN, i buchi neri sono
dentro all'uomo”.
Sottoscrivo. Ma chi ha fatto circolare la panzana del “risucchio del pianeta” dentro l'anello del Large Hadron Collider?
Indaga Montalbano,
indaga.
Arthur C. Clarke se n’è andato.
La
sua avventura terrena
( ma forse,
nel suo caso, sarebbe meglio
definirla terrestre….) si è conclusa qualche giorno prima dell’inizio dell’instabile
primavera di questo 2008.
E ciò è avvenuto proprio ora che l’umanità sta vivendo la Fine della (sua) infanzia, come da Arthur magistralmente previsto in un romanzo che in Italia ( Esperia: cioè la terra dell’occidente, come la chiamavano gli antichi greci) è stato invece intitolato, forse appunto in relazione a tale primevo nome
crepuscolare del nostro paese, Le guide del
tramonto, con una possibile inversione
della prospettiva della storia ( persino
fantastica) tipica di quell’aspetto della nostra cultura
meno felice, intriso com’è di
pessimismo controriformista ( Attenzione!!: l’attributo va inteso in senso
seicentesco…..) . Ed,
in un certo senso, è proprio questo uno
degli argomenti di cui desideriamo parlare, in questa sorta di necrologio di un uomo certamente fuori del comune.
Clarke è, ha parere di chi scrive, uno dei massimi
esponenti (forse il massimo, ex aequo
con Isaac Asimov) di una corrente di pensiero che ha
fatto della fantascienza (ma certamente non solo di quella) un veicolo per
modificare la visione del mondo, anzi, dell’ Universo, dell’umanità nella
seconda metà del
XX° secolo.
La
SF di lingua
anglosassone ( negli
ormai remoti tempi
in cui l’ idioma [nord] americano non
si era ancora significativamente
separato da quello inglese, cominciando ad invadere l’allora nascente
cultura planetaria…) tale SF,
dicevamo, si afferma
nel periodo compreso tra i due conflitti mondiali, traendo
nutrimento tecnologico-scientifico e
“giustificazione” culturale, sia dalla iniziale diffusione,
nelle dimore dei
più abbienti, di apparecchi ad
alto ( per quel tempo ) contenuto tecnologico ( il telefono,
l’ aspirapolvere, il frigorifero
e via dicendo )
sia, soprattutto, dal
tragico dipanarsi di
eventi provocati da
armi appena lontanamente
concepibili fino a
pochi lustri prima ( almeno dalle persone che si muovevano
nel paradigma culturale ordinario).
Partendo
dalle scoperte del XX°
secolo e soprattutto
dalle invenzioni a queste
collegate, materializzatesi in
laboratori ed opifici come quelli del progetto Manhattan o
come quelli di Peenemunde, estrapolandone applicazioni
possibili anche in campo
civile, e derivando
da tutto ciò
scoperte ed invenzioni ancora da venire ma sempre
all’interno del sottile limite della
verosimiglianza, gli autori
ed editori della SF anglosassone si assunsero, di fatto,
il compito di condurre per mano almeno due generazioni di giovani
occidentali ed, indirettamente, di giovani
dei paesi del
blocco sovietico, attraverso le possibilità offerte
da questi territori appena intravedibili, quasi che essi, gli autori ed editori, fossero dei nuovi profeti,
auto(?)investitisi
della missione di traghettare in qualche modo la gioventù verso le meraviglie
e/o le mostruosità dei futuri possibili/probabili.
Uomini come Asimov
e
Robert
A. Heinlein
per raggiungere questo obiettivo si sono soffermati
soprattutto sulle implicazioni
di tipo sociologico
e psicologico di quelle e queste scoperte ed
invenzioni, anticipando alcune delle prime e molte delle
seconde, ma spesso
sottintendendone i particolari
più tecnici. Tutto questo integrando sapientemente
ogni spunto ed argomento all’interno di scenari che risultano a tutt’oggi di
sapore credibilmente avveniristico, se
non altro perché autocoerenti. Clarke ha invece
dato più spesso vita ad avventure in cui la scienza e la tecnologia, accuratamente
descritte e “giustificate”, con
precisione, ma senza quella pedanteria
che appesantisce lo stile, sono in
qualche modo il palese primum movens del
modificarsi degli usi e costumi dei personaggi e delle società descritti.
In questo modo l’autore anglosassone ha
generato vere e proprie realtà alternative,
di una verosimiglianza tale
da rendere poco
necessaria quella sospensione di incredulità a
cui invece deve forse attingere in
misura maggiore il fruitore di opere come quelle di Asimov od Heinlein. A
titolo di esempio citeremo il passaggio di Fanteria
dello Spazio in cui Heinlein, mostrando
il suo sornione senso dello umorismo che caratterizza peraltro
buona parte della
sua produzione (insieme al suo
olimpico distacco dalle vicende umane)
fa dire al protagonista che, per
avere particolari sulla
struttura e sul
funzionamento delle
prodigiose Tute Potenziate
che rendono tale la
Fanteria Spaziale Mobile,
basta andarseli a
cercare su una qualunque
buona Enciclopedia Tecnica……..
Ritornando alle credibili realtà
alternative di Clarke, possiamo dire che in questi mondi l’Uomo
può, se vuole, dare finalmente il meglio di sé, in un certo modo incarnando sino in fondo
il motto galileiano secondo il quale esisterebbe un solo bene, la conoscenza, ed un solo male, l’ignoranza.
Comunque è
evidente, in quasi
tutti gli autori di SF
del periodo che
stiamo esaminando, una sorta
di intento didattico,
più o meno
esplicito, più o meno
cosciente. Ne è
prova esemplare il
numero notevole di opere di divulgazione scientifica sapientemente
compilate da Asimov e da Clarke e
pubblicate in molti paesi del mondo
con grande successo
editoriale: nel caso
di Clarke possiamo mettere al
suo attivo anche
la partecipazione ad
intere serie di
trasmissioni televisive, sì di intrattenimento documentaristico, ma
sempre di buon
livello informativo e
divulgativo.
Nei
racconti e nei
romanzi, i personaggi
di Clarke sembrano pervasi da
uno spirito illuminista, vagamente settecentesco. Essi
lasciano intravedere una sorta di implicito culto
della Dea Ragione, con qualche tragica eccezione: i monaci del monastero de I nove miliardi di nomi
di Dio giocano la loro partita al servizio di una
Divinità distante ed
egoista; l’astronomo gesuita de La stella è costretto a
misurarsi con il mistero di una civiltà positiva spazzata via (forse) per
annunziare la nascita del Messia sulla nostra Terra.
Un
residuo di religiosità giudaicocristiana affiora invece nelle ultime pagine di 2001 Odissea
nello spazio dove un attonito
David Bowman recita “ Dove
mi trovo,
in nome
di Dio ? ”quando,
“ ATTRAVERSO LA PORTA DELLE STELLE” raggiunge, con
la sua minuscola capsula,
la “ STAZIONE CENTRALE “ della Galassia. Ivi
è oltremodo interessante
notare come il
cielo luminosamente
lattiginoso che avvolge
il misterioso mondo
dalla superficie poligonale
che lo astronauta sorvola,
sia trapunto di
stelle nere, come avviene
sul soffitto di una tomba
etrusca non molto lontana da
Roma. Tutto ciò a
riprova, per i pochi in grado di
intendere, che il romanzo (e forse anche di più la pellicola)
rappresentano anche un viaggio iniziatico, come acutamente suggeritoci, più di vent’anni or sono, da Massimo
Biondi, un esperto del paranormale che non disdegna qualche scorreria nel campo
dell’esoterismo.
Al
confronto, i personaggi di Asimov
appaiono, più che atei, agnostici,
anzi, monoliticamente indifferenti
all’idea stessa del divino.
Ma non, certamente,
indifferenti alle ineluttabili domande che ogni essere senziente finisce per porsi di fronte allo spettacolo
dell’Universo. In Neanche gli dei lo scrittore statunitense nato in Russia
pone ( dimostrando una
perfetta padronanza del
suo mestiere e, soprattutto, di ogni conoscenza scientifica utile al suo
esercizio ) il problema della unicità
dell’U/universo che osserviamo.
Ne L’ultima
domanda lo
stesso Asimov
cerca di rispondere
al grande interrogativo
della fine ( e dell’inizio !?)
dell’Universo stesso.
Questo
connubio dei vari
aspetti della cultura
umana ha profondamente influenzato lo
sviluppo delle generazioni
di tecnici e
di scienziati che
hanno realizzato i primi aerei supersonici, che hanno iniziato a trapiantare reni e cuori
da un essere umano all’altro, che hanno portato in orbita il primo satellite
artificiale e che hanno portato il primo uomo sulla Luna, che hanno costruito
sottomarini dotati di armi
capaci di spazzare via la civiltà da
un intero continente decimandone
la popolazione, che hanno sviluppato ogni genere di mezzo
meccanico/elettronico per condurre velivoli,
missili, automobili, che hanno creato protesi per far udire i sordi e
vedere i ciechi, che hanno sviluppato farmaci
in grado di curare tante malattie
e che
hanno approntato sostanze in grado di uccidere la popolazione
di una intera città con quantità ridicole delle sostanze stesse, che hanno
creato strumenti musicali da cui emergono armonie altrimenti inesprimibili.
Com’è
ovvio, l’elenco, inevitabilmente
incompleto, contiene realizzazioni
non tutte positive, soprattutto per il loro
possibile uso. Nei mondi di Clarke e di Asimov è però il bene
(relativo, è ovvio) a riempire i finali.
E quando il finale è di morte o
distruzione, appare sempre evidente l’intento pedagogico ( mai moralistico…. ) dell’autore
o l’angoscia di chi
sa affrontare ma non riesce ancora
a risolvere il paradosso dell’orologiaio, vero metro di misura della percezione del Tutto da parte di
noi esseri umani.
In
Italia, la fantascienza
di lingua anglosassone, grazie
all’ opera di pochi benemeriti , è
stata fattore di
sviluppo intellettuale già
nel primo dopoguerra,
stimolando generazioni
di ricercatori che,
grazie anche alla miopia di gran
parte della classe politica,
sono poi andati ad applicare il loro genio sempre più
spesso all’estero.
La Cultura,
in questo Bel Paese, ha
cercato sempre di snobbare la fantascienza,
considerandola un genere letterario minore, per ragazzi. E’ ora abbastanza evidente che
questa tendenza affonda le proprie radici anche nella
dicotomia tra la verità di Fede e quella di Scienza e nella ipotizzabile volontà
di non lasciare mai che le due possano trovare fertile
terreno di ibridizzazione nella mente dei pensatori a
tutto campo che questa Nazione ha dato alla Luce ed, incredibilmente, seppure in misura minore rispetto al passato, continua
tutt’oggi a generare. Ovviamente le menti capaci
di tale operazione olistica sono rare,
ma noi italiani siamo
ancora, seppure in
misura sempre minore,
il popolo dei geni. Quindi impedire
la diffusione della
fantascienza anglosassone ed,
in misura ancora
maggiore, la comparsa di
valenti epigoni indigeni
della suddetta, potrebbe essere
stato uno dei mezzi per arginare
l’affermarsi di posizioni che,
per fare un
esempio noto e nobile,
si troverebbero nel
solco di una
corrente di pensiero affine a
quella di Giordano Bruno.
Come pura ipotesi ( di sapore appunto fantascientifico, ce ne rendiamo conto) si potrebbe
imputare la marginalizzazione della
SF scientifico-tecnologica
ad una oscura volontà
di privare la novella Esperia di un numero di ricercatori (nel senso più vasto del termine) così alto da
determinare, malgrado il loro imponente flusso migratorio, una
permanenza in patria di tanti di essi da indurre,
comunque, una modifica delle
scelte economico-industriali della
Nazione. Tale situazione sconvolgerebbe l’equilibrio
geostrategico
imperante, ricollocando realmente il
nostro paese in
quella posizione che
gli compete tra i
grandi del pianeta.
Orbene,
qualunque siano state
le intenzioni, più o
meno esplicite, di
chi ha condotto, più
o meno consciamente, l’operazione
( ammesso e non concesso che l’operazione ci
sia stata realmente,
e che il
tutto non vada
più prosaicamente attribuito alla ingravescente
attitudine della maggioranza degli italiani di trattare tutto
con superficialità ) viene spontaneo
chiedersi come la marginalizzazione di cui dibattiamo sarebbe stata posta in essere.
Sempre
livello di mera
ipotesi, è forse possibile individuare, nella sistematica contaminazione, a
livello editoriale, del genere
fantascientifico con altri generi, segnatamente con la cosiddetta Heroic Fantasy ( genere che, a parere di chi scrive, poco o
nulla ha a che vedere con la
fantascienza ) uno dei mezzi posti in essere, almeno nel periodo a
cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80, per diluire, più
o meno consapevolmente, i valori ed i messaggi della fantascienza vera e
propria.
Invece , ne Le guide
del tramonto di cui
all’inizio, assistiamo all’impiego di
uno dei massimi archetipi della
cultura occidentale in funzione esplicativa di un futuro in cui
una civiltà evolutissima da un punto di vista
scientifico-tecnologico, ma incapace
essa stessa di
generare altre specie
intelligenti, è preposta da una Supermente trascendente alla guida
della razza umana, verso quella che, alla fine, si rivela la palingenetica estinzione biologica della specie umana
medesima. Estinzione che
si scopre palingenetica proprio in quanto si accompagna
con la cladogenesi di un’altra
entità, caratterizzata da una psiche collettiva
con poteri trascendenti.
Uno
dei numerosi pregi
di questa opera
di Clarke è
appunto quello che lo
autore anglosassone non cade nella ovvia tentazione ( è proprio il caso di
dirlo….. ) di trasformare il
tutto in un
facile polpettone faustiano più
o meno condito di ottimismo neopositivista o di
pessimismo ancestrale.
L’opera, malgrado risalga al 1953, ancora rimane modernissima ed
ammonitrice, senza mai scadere
nel sentimentalismo moralista o nell’oniristica
ricerca di mondi popolati di ogni genere
di demoni, fate fascinose, gnomi,
cavalieri più o meno senza macchia,
cavalli alati e/o parlanti, unicorni,
draghi pirovomitanti, streghe più
o meno racchie,
maghi, castelli incantati
abitati da corvi
policromati di disneyana memoria,
bacchette magiche, spade
invincibili emergenti come
periscopi manuportati di improbabilissimi sottomarini lacustri monoposto, scudi boomeranghianamente
ritornanti ai padroni discoboli, pozioni
magiche più o meno asterixiane, e quant’altro
sarebbe con ogni
probabilità finito per
comparirvi se l’opera ( magari
pubblicata a puntate…..) fosse stata
del tipo di alcune ( troppe)
apparse su riviste italiane, più o meno
amatoriali, degli anni settanta ed
ottanta.
Ci si dirà che questo periodo non è in alcun modo
collegabile all’inizio degli anni ’50, ma a questa obiezione
si può facilmente rispondere che il Regno Unito rimane pur sempre una delle più
nobili patrie di fiabe e saghe.
Ad onor del vero,
forse Le guide del tramonto si presta ad una interpretazione
molto più malevola. Qualche anno fa
apparvero, sulla stampa
non specializzata, delle accuse
infamanti riguardo Clarke. In questa ottica, il
romanzo potrebbe anche, al limite,
essere interpretato come
una sorta di
indiretta autoassoluzione riguardo presunti
comportamenti illeciti del
nostro, grazie ad
una iper-relativizzazione della morale corrente.
Noi non riusciamo a credere a questa
ipotesi. Tra l’altro
viene da chiedersi come un uomo della
statura morale e
culturale di Isaac Asimov avrebbe potuto pubblicamente esternare ( anche per iscritto….) i sensi della sua
stima ed amicizia verso quello che in fondo era il suo più diretto
concorrente, se questo
non fosse stato una persona più che degna di rispetto,
anche dal punto di vista morale.
Ritornando al tema principale, vorrei ricollegarmi,
nel prosieguo ideale del filone “educativo” che abbiamo
individuato nella storia della
fantascienza degli ultimi 60 anni, alla
trasposizione cinematografica del romanzo Contact di Sagan. L’opera letteraria è di spessore
notevole, soprattutto per quel che concerne i contenuti, ma la pellicola (del 1997) non è da
meno, anche se utilizza l’espediente semplificativo di limitare il “viaggio”, che è il nucleo della trama, ad una sola persona, perdendo
un poco della coralità individualizzata che caratterizza la storia originale.
Qui è utile
ricordare il dialogo tra la protagonista, Ellie Arroway,
interpretata dalla sempre eccellente
Jodie Foster, e la Commissione incaricata di scegliere il candidato al
viaggio nella sfera costruita secondo le istruzioni giunte da Vega ( ma non del
tutto, perché la presunzione umana non si arresta di fronte
a niente). Alla domanda
“ Se lei incontrasse questi vegani, e le fosse
concesso di fare loro
solamente una domanda, che cosa domanderebbe?”, posta
da uno dei
membri della Commissione, la
donna di scienza risponde senza alcuna esitazione: “ Mbè, suppongo
che domanderei come
avete fatto… come vi siete
evoluti, come siete sopravvissuti all’adolescenza tecnologica
senza autodistruggervi? A questa più che ad ogni altra domanda
vorrei che fosse data una risposta.”
Come si vede anche nell’opera del regista Robert Zemeckis uno dei temi è
quello della necessità della crescita
dell’umanità. Il tema viene ripreso, per quanto in modo apparentemente indiretto, nella scena nodale del film, quella
dell’incontro con il “padre”.
L’entità extraterrestre appare ad una stupefatta e commossa Ellie sotto le spoglie del di lei
defunto padre, ed ammette che i sogni, i ricordi
presi dalla mente della donna durante il sonno sono stati utilizzati per creare una
controparte con cui fosse più facile per Ellie
confrontarsi. Poi l’entità intesse con lei un dialogo da cui appare evidente un
progetto di aiuto all’umanità, accuratamente graduato nel
tempo e nei modi. Tutto il discorso appare delicatamente allusivo, esplicito solo in alcuni punti. Tra
le pochissime cose
che nell’incontro si
evidenziano con certezza,
vi è la intenzione
di non
turbare, di non
destabilizzare la mente di una persona costretta a misurarsi con una realtà
già troppo grande per lei ,
persona che è ambasciatrice di
una umanità anch’essa
da non spaventare,
da non turbare
più dello stretto indispensabile.
Di ben altre
“attenzioni” è oggetto la
povera Ellie quando torna
tra quelli che, obtorto collo, l’hanno dovuta accettare come
ambasciatrice, dopo averla rifiutata in quel ruolo esclusivamente perché
non in
linea con il
comune senso religioso. La sua parola di donna amante della
verità non basta: quelli che l’hanno emarginata perché si
rifiutava di asseverare
l’esistenza in un
Dio che lei ( e la
stragrande maggioranza degli esseri umani )
non vede, quelli stessi non riescono a credere
alla sua versione dei fatti. Qui il
regista e gli autori si esibiscono in una magistrale traslitterazione del
messaggio evangelico, porgendoci sapientemente una verità su cui non
riflettiamo adeguatamente, in
un contesto che
la rende dolorosamente credibile.
Ma Ellie non è della loro
stessa pasta dei suoi increduli avversari . Si rimette dal trauma del non-riconoscimento ufficiale della realtà del
suo viaggio da parte di chi di
dovere. E vestiti
i panni della
divulgatrice scientifica / dispensatrice
di conoscenza, si comporta con una scolaresca più o meno
come gli extra (o ultra ?) terrestri si sono comportati con lei: si
guarda bene dal trasmettere
direttamente alle ricettive
menti infantili i
suoi dati esperienziali, ma sprona
invece i bambini a
continuare a cercare,
a porsi delle domande, evidentemente sicura che loro ricerca della
verità sarà comunque premiata.
E dopo,
mentre se ne sta
sull’orlo del canyon che rappresenta evidentemente la difficoltà oggettiva
di raggiungere tutto quello
che sta dall’altra parte, le viene donata la
prova insperata : dalla manciata
di suolo granuloso che lei raccoglie con la mano appare lo stesso segno,
tracciato in tutte e due i casi da cristalli non visibili prima, apparso sulla
mano del “padre” extraterrestre mentre faceva scivolare giù la manciata di
bianca sabbia, da lui
appena raccolta dalla remotissima spiaggia. Lo stesso segno,
una C molto
allungata, tracciato sul
tappeto del soggiorno dai popcorn
caduti insieme con il padre
di Spark/Ellie molti anni prima, al momento dell’attacco cardiaco
che provoca la morte dell’uomo.
Ed Ellie Arroway, ripensando
a tutti questi momenti, mentre è seduta sull’orlo dell’abisso, intuisce che forse quella apparsale sotto
la luce di astri lontani non è una
perfetta ricostruzione del suo genitore terreno : forse è suo
padre tout court. E se ciò è vero lei,
allora, è una di
loro.
Il cerchio è chiuso:
il segreto svelato. Il
celeste occhio di Spark/Ellie
contiene realmente l’universo conosciuto.
E
lei è una
maestra incaricata di
far crescere a “piccoli passi” l’enfant
terrible rappresentato dall’umanità.
In coda a
questa (estrema) interpretazione dell’ottimo
film di Zemeckis che,
ovviamente, a nostro
modo di vedere
si ricollega direttamente
a Le guide del tramonto, ci sia consentito, su un piano molto più
prosaico, di far notare le ampie similitudini che esistono
tra Contact
e 2001
Odissea nello Spazio. Praticamente identico,
nel tempo e
nello spazio, è
il viaggio di Ellie Arroway e di
David Bowman.
Molto affini le
“capsule” utilizzate a questo scopo dai
protagonisti, in sostanza tutte e due sferiche: uteri
tecnologici concepiti per garantire
la sopravvivenza dei loro occupanti. Nel primo caso durante il passaggio
attraverso le distorsioni spaziotemporali indotte dal gigantesco marchingegno
rotante realizzato sulla terra in base a
progetti inviati da Vega, nel secondo
nel volo attraverso
lo spazio interplanetario, ma
uteri destinati, infine,
a favorire, nell’ un caso, il contatto-autoriconoscimento di Spark => Ellie => dea-Glaucopide, nell’altro
la rinascita ad un livello superiore di David/Odisseo.
Infine, nella colonna sonora della prima sequenza di Contact , mentre il
viaggio a ritroso nello spaziotempo dalla Terra fino
ai limiti dell’Universo supera il sistema gioviano, si
possono ascoltare poche ma inconfondibili note della colonna sonora di 2001 nel brano che accompagna
appunto il viaggio di David Bowman a bordo della
capsula attraverso il sistema di Giove ed oltre…
Dato
poi che l’incontro tra Ellie ed il padre avviene su una spiaggia, come non ricordare qui The Abyss di
James Cameron, pellicola
in cui il vero protagonista forse è
proprio quell’abisso
marino che si
configura come simbolo
dell’abisso dell’inconoscienza –
incoscienza di se stesso
in cui nuota (e spesso affoga) ogni essere umano. Ma per approfondire l’argomento, rimandiamo ad un altro
articolo scritto dall’estensore del presente (1).
Per tornare a Le guide del tramonto, ci sia consentito di accomunare, almeno da un
punto di vista della descrizione verbale degli eventi, lo Sfondamento di cui
sono testimoni i Superni
nell’opera di Clarke con
il passaggio che
si apre per Ellie
quando parte per il suo viaggio in Contact.. Nel romanzo di Clarke lo Sfondamento descrive il superamento, da parte di alcuni individui della specie
umana, del limite tra il sensibile ed il
trascendente, e lo Sfondamento Totale
rappresenta il fenomeno per cui tutta una generazione di tale specie si unisce
per collegarsi alla Supermente,
perdendo le sue caratteristiche di specie.
Il passaggio che si apre ad Ellie la mette di fatto in
contatto con una sorta di extraterrestri (o ultraterrestri) che, dal punto di vista epifenomenico mostrano
attributi tipici di
esseri trascendenti. Anche in
questo caso l’umanità
appare necessariamente costretta a cambiare, ma in modo progressivo, non traumatico.
Il metodo è diverso, ma il risultato è simile.
Per
ricollegarci alla realtà
del secolo appena trascorso,
potrebbe essere utile confrontare l’aspetto
esterno del veicolo
utilizzato da Ellie Arroway con
le immagini di Trinity, l’ordigno
a fissione testato nel deserto
del Nuovo Messico il 16 Luglio del 1945,
e chiedersi se
sia vera la
voce secondo la
quale in alcuni esperimenti nucleari
la quantità di energia liberata sia superiore a quella prevista
dalla teoria della fissione e della fusione dei nuclei atomici, e nel caso la risposta a questa domanda sia
positiva, chiedersi da dove
venga questa energia.
Non vogliamo
però concludere questo breve saggio in onore
di Arthur C. Clarke con
questa nota negativa. Ci piace invece
pensare che il potentissimo Lampo Gamma
registrato proprio il giorno della sua morte, il 19
Marzo 2008 ( l’unico di questi
eventi, tra quelli
registrati sinora, che ha presentato una controparte ottica così
intensa da poter essere osservata ad occhio nudo) sia stato uno “sfondamento” tra questa realtà
ed una più cristallina, dove, in qualche modo, l’essenza di Arthur possa continuare a vivere.
1)
“DONNE DONNE ETERNI DEI” su Nova
Astronautica N° 111 Vol. 27 Gennaio-Febbraio-Marzo 2007.